l’immagine che non c’è: perché l’AI non potrà mai sostituire la fotografia vissuta

“Non si fotografa con le macchine. Si fotografa con gli occhi, con il cuore, con la testa.”
— Henri Cartier-Bresson

ChatGPT

immagine di una caffettiera

ChatGPT

immagini di prova per l’esposizione “Specchi e riflessioni”

Siamo entrati nell’epoca in cui l’immagine si può generare dal nulla. Bastano poche parole ben calibrate, un prompt e un algoritmo sofisticato. Eppure, qualcosa manca. Non è solo la realtà — è la poesia dell’atto fotografico. Quella che si respira prima dello scatto, nel gesto silenzioso della ricerca. Quella che resta anche dopo, quando la foto si fa memoria, testimonianza, frammento di un mondo incontrato.

La tecnologia AI sta ridefinendo i confini della fotografia. E mentre molti ne esaltano le possibilità, è doveroso interrogarsi. Possiamo ancora chiamare “fotografia” ciò che non nasce da uno sguardo, ma da un calcolo?

Fotografare è un atto fisico, poetico, imperfetto

La fotografia è prima di tutto relazione: con la luce, con il tempo, con lo spazio. È attesa, spesso fatica. È il freddo all’alba, il camminare senza meta, il tornare a casa senza uno scatto ma con gli occhi pieni. L’immagine è solo la punta dell’iceberg. Sotto, c’è un mondo fatto di dubbi, intuizioni, errori. Un mondo vivo.

Le immagini generate dall’AI cancellano tutto questo. Non c’è presenza, non c’è corpo. Solo una replica del visibile, priva di esperienza. E così, anche le emozioni che una fotografia autentica può generare — compassione, stupore, nostalgia — si smorzano in un’estetica sterile, per quanto seducente.

L’illusione della perfezione

Le immagini create artificialmente sono, spesso, perfette. Ma la perfezione è nemica della verità fotografica. Pensiamo ai grandi maestri: la granulosità di Daido Moriyama, le ombre sbagliate di William Klein, i tagli netti di Scianna. Tutti elementi che oggi un algoritmo correggerebbe. Eppure è proprio lì, in quelle imperfezioni, che la fotografia si fa arte e racconto.

Sì al ritocco, ma su fotografie vere

Diverso è l’uso dell’AI nei software di sviluppo fotografico, come Lightroom. Qui l’intelligenza artificiale può essere uno strumento utile: seleziona soggetti, migliora l’esposizione, recupera dettagli. Ma lo fa dopo lo scatto, e sempre su una base reale. È un’estensione del fotografo, non una sua sostituzione.

Il ritocco, se fatto con consapevolezza, non tradisce la fotografia: la compone, la rifinisce, la completa. È l’equivalente moderno della camera oscura, dove l’autore continua a parlare con la sua immagine.

Tornare alla lentezza

La fotografia non ha bisogno di più immagini, ma di più sguardi. Non ha bisogno di mondi perfetti e generati, ma di realtà imperfette e vissute. Chi fotografa sa che ogni scatto è una scommessa con il tempo, con la luce, con sé stesso. E che in quella scommessa c’è tutta la poesia che l’AI, semplicemente, non può conoscere.